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Alvaro e gli altri, le 50 sfumature del Pinot grigio

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Alvaro Pecorari

«La cantina era bassa. Nel mezzo, su una botticella fumazzava una fiamma rossastra di petrolio. Il padron di casa sedeva vicino alla fiamma, con un bicchiere in mano. Nel volto era del color dei fondi violacei di botte». Il mondo del vino friulano descritto da(«Il mio Carso», appena riedito da Bur) agli inizi del Novecento era fatto di «vendemmie tra grida e risate» e di famiglie che si riunivano nelle cantine per pigiare l’uva «aggrappandosi ai tini». Famiglie e damigiane, per anni. Poi tutto è cambiato. Ed ora accanto a zone conosciute in tutto il mondo crescono rapidamente territori sempre più interessanti. Come l’Isonzo, una doc nella valle del fiume, con vigneti sulle due sponde (a destra Rive Alte, a sinistra Rive di Giare). Una conferma della vocazione bianchista del Friuli Venezia Giulia, in cui vitigni internazionali come Chardonnay, Sauvignon e Pinot grigio vengono interpretati in modo dinamico.


Alvaro Pecorari, di Lis Neris, è uno dei vignaioli che, soprattutto con il suo Pinot Gris, meglio rappresenta l’evoluzione isontina (il Pinot grigio con un colore dalle molte sfumature, dal giallo paglierino al rosato, è una derivazione del Pinot nero, l’uva ha la stessa tinta delle bucce di cipolla). «La mia generazione — racconta — ha seguito l’esempio di alcuni patriarchi che alla fine degli anni Sessanta hanno fatto rinascere il Friuli enologico. Come Mario Schiopetto. Accese una lampadina in una stanza buia. Ci indicò la strada della personalità e della qualità». Schiopetto, come ha raccontato Pecorari nella degustazione che ha chiuso l’evento «Cibo a regola d’arte» al Museo della Scienza e della Tecnologia a Milano, fu uno dei primi a capire che Milano poteva essere un trampolino. «Portava i vini a Milano con la sua auto e organizzava degustazioni casalinghe con gli appassionati. Ci fece capire che il vino poteva essere una fonte di reddito e dare una identità al nostro popolo di agricoltori».
Aveva 22 anni, Pecorari, quando decise di lasciare la facoltà di Architettura di Venezia per dedicarsi alle vigne. Come i personaggi del romanzo di Slataper, lavorava in campagna con i genitori già da ragazzino («La mattina a scuola, il pomeriggio sui campi, dopo le 19 sui libri»). Seguendo le orme di Schiopetto, Pecorari ha trasformato, passo dopo passo l’azienda agricola di famiglia, attiva dal 1879. I 4 ettari di vigne sono diventati 70. Le damigiane per le osterie sono scomparse e si sono trasformate in bottiglie (450 mila l’anno) vendute in tutto il mondo.
«La partenza è stata molto in salita — racconta il vignaiolo di San Lorenzo Isontino — nessuno ci dava fiducia, facevamo leva sulla simpatia». Con Pecorari altri vignaioli si sono fatti notare. Soprattutto il suo amico Gianfranco Gallo, di Vie di Romans, che ha iniziato la sua avventura nel 1978 (il suo Pinot grigio Dessimis, è ramato e cremoso). E l’altro amico Giorgio Badin, di Ronco del Gelso, decollato nel 1988 portando le 3.000 bottiglie iniziali a 150 mila, con un bianco inteso, Latimis (Friulano, Riesling e Pinot bianco), e il Sot lis Rivis, un elaborato Pinot grigio. Al trio si sono affiancati, nel percorso della qualità, Alessandra e Mauro Mauri, di Borgo San Daniele, a Cormons (si distinguono per l’uvaggio rosso Gortmarin, con Merlot, Cabernet franc e Cabernet) e Mauro Drius, della cantina che prende il suo nome, sempre a Cormons, 15 ettari dalle pendici del Monte Quarin all’alta pianura dell’Isonzo, in cui si produce il Vìgnis di Sìris (Friulano, Pinot bianco e Sauvignon). E la valle dell’Isonzo fa riemergere le parole di Slataper: «Lunghe ore di calcare e di ginepri. L’erba è setolosa. Bora. Sole»


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